TinyDropdown Menu diaconiperugia: gennaio 2009

sabato 24 gennaio 2009

Il Ministero dell’Accolitato conferito a :Mario Campanile, Paolo Conti e Enzo Mariucci

(Giovedì 29 Gennaio 2009-ore 18.00 –Cattedrale di San Lorenzo-Perugia) La comunità di Chiugiana-Ellera-Olmo-Fontana e Mantignana è chiamata giovedì 29 Gennaio, festività di S.Costanzo, a vivere un altro momento di solennità e di preghiera. Infatti come il 30 settembre 2007 in occasione del nostro conferimento a “ministro istituito del lettorato” il nostro vescovo Mons. Giuseppe Chiaretti “pastore della chiesa perugina” presenzierà la liturgia eucaristica delle ore 18.00 dove ci conferirà il “ministero istituito dell’accolitato”. In queste parole che seguono è contenuta una breve descrizione del ministero istituito dell’accolito e con esse vi diamo appuntamento a giovedì 29 alle ore 18.00 nella Cattedrale di S.Lorenzo in Perugia per pregare il Signore con noi e per noi assieme al nostro Vescovo affinché illumini il nostro cammino di fede in vista dell’appuntamento finale che sarà il ministero ordinato del Diaconato.
L’ACCOLITATO
Il termine accolito deriva dal greco. La forma verbale corrispondente significa :” andare dietro,seguire,accompagnare”. Nel linguaggio del nuovo testamento essa riveste il senso vasto e profondo di sequela di Gesù. L’accolito fino a pochi anni fa era il grado maggiore degli “ordini minori”. Il ministero dell’accolito,una volta ministero autonomo e permanente,era diventato nel corso del tempo una tappa verso l’ordinazione diaconale e sacerdotale (ancora oggi; di fatto è così).Tuttavia,questo ministero essendo un ministero laicale come lo è il lettorato può essere conferito a laici che non necessariamente aspirano all’ordine sacro. Il documento pontificio “Ministeria quaedam” di Paolo VI stabilisce che l’accolito èper fare da ministro al sacerdote. Suoi compiti sono curare il servizio dell’altare,aiutare il sacerdote nelle azioni liturgiche, specialmente nella celebrazione della santa Messa; distribuire come ministro straordinario la santa Comunione tutte le volte che non vi sono i ministri ordinari (daconi,sacerdoti).I ministri straordinari della comunione che noi vediamo nelle nostre chiese distribuire la santa comunione nella messa hanno questo incarico per un tempo determinato che varia da un anno a 3 anni; mentre l’accolito questo mandato lo ha per sempre. Il rito consiste nella consegna della patena con il pane o del calice con il vino da consacrare, mentre il vescovo pronuncia le parole: “ricevi il vassoio con il pane (il calice con il vino) per la celebrazione dell’eucarestia, e la tua vita sia degna del servizio alla mensa del Signore e della chiesa”: Nella preghiera di benedizione sui candidati imploriamo ; “benedici quei tuoi figli al ministero di accoliti. Fa che,assidui nel servizio dell’altare, distribuiscano fedelmente il pane della vita”. Con queste parole ove è contenuta una breve descrizione del ministero istituito dell’accolito vi diamo appuntamento giovedì 29 alle ore 18.00 nella Cattedrale di S.Lorenzo in Perugia a pregare il Signore con noi e per noi assieme al nostro Vescovo affinché illumini il nostro cammino di fede in vista dell’appuntamento finale che sarà il ministero ordinato del Diaconato.

mercoledì 21 gennaio 2009

Incontro dei Responsabili del Collegio Diaconale di Perugia con il Vescovo Mons.Gualtiero Bassetti


Carissimi,
giovedì mattina 5 gennaio, Giuliano, Gaetano ed io siamo stati ricevuti dal Vescovo in episcopio e ci siamo presentati come eletti in seno al Collegio Diaconale.
Devo dire che è stato un incontro molto cordiale nel quale abbiamo consegnato di nuovo al Vescovo il regolamento del Collegio. Ci ha assicurato che con l'approvazione del documento verranno anche automaticamente confermati i nominativi degli eletti. Acconsente inoltre che si possa avviare già da subito l'attività del Collegio.
Da parte nostra è stata fatta la richiesta di avere una sede e contributi per l'attività del Collegio come previsto dal regolamento, ma per il momento occorre attendere.
Ci siamo resi disponibili ad inserirci nella pastorale diocesana ed abbiamo assicurato che il Collegio non vuole essere un organismo che rende semplicemente visibile i diaconi, ma vuole promuovere la spiritualità al suo interno e la precisa funzione del diaconato in seno alla Chiesa. «Come ordine intermedio tra i gradi superiori della gerarchia ecclesiastica e il resto del popolo di Dio, ... in qualche modo interprete delle necessità e dei desideri delle comunità cristiane, animatore del servizio, ossia della diaconia della chiesa presso le comunità cristiane locali, segno o sacramento dello stesso Cristo Signore, il quale non venne per essere servito, ma per servire" (Ad Pascendum di Paolo VI). La necessità quindi del diaconato di fare da ponte tra il laico e il presbitero, elemento ormai indispensabile senza il quale la Chiesa non sarebbe completa e nello stesso tempo una figura ben definita con il suo ben preciso compito diverso dal presbiterato e dall'episcopato. Compito che non è per volontà umana ma che deriva dai doni dallo Spirito Santo conseguenti il Sacramento dell'Ordine. Ci siamo poi salutati con affetto.
Personalmente sono stato sempre convinto che una volta ricevuta l' Ordinazione mi sono definitivamente reso conto che non era stata la mia volontà a compiere ciò che desideravo, ma era il Signore che mi aveva chiamato e che mi chiama continuamente, conducendomi Lui nelle strade del mondo, docile all'azione dello Spirito che, quando agisco nel suo nome, è presente e mi guida.
Il Signore mi chiama ora a compiere un nuovo servizio nei riguardi di noi diaconi e voi avete scelto me che sono a volte incostante e certamente indegno, cercherò con il vostro aiuto e la vostra preghiera di essere al vostro servizio per fare in modo che il nostro stare insieme non sia all'insegna della rivendicazione dei diritti del diacono o del brontolio per le incomprensione che molto spesso incontriamo, ma sia un cammino che propone modi nuovi del servizio, segno di speranza in un mondo sempre più complesso e difficile, in continuo contatto con gli ambienti della società, proponendo sempre la bellezza di essere Chiesa. Forse è un progetto ambizioso che io sento ma che si potrebbe realizzare uscendo qualche volta dalle sacrestie ed andando incontro alla gente. Mi risuonano continuamente nella mente le parole che ci disse il Vescovo Pagani a noi che per primi ci preparavamo al diaconato "permanente" nella Diocesi di Perugia: "Voi sarete alle frontiere del servizio" . Ah ! quanta responsabilità sentivo calarmi addosso ! E la sento tutt'ora !
Nella mente ho anche sempre presente la figura del Diacono Filippo che per strada incontra l'eunuco ed incomincia sul carro a parlargli delle sacre scritture e poi lo battezza lungo il fiume.
Quanto lavoro occorre fare nella nuova evangelizzazione in un mondo che si sta scristianizzando velocemente e nella accoglienza delle persone che vengono da altri paesi sempre più presenti tra di noi !
Il domani se pur difficile è sempre foriero di novità "e questo perché io possa conoscere lui, la potenza della sua risurrezione, la partecipazione alle sue sofferenze, diventandogli conforme nella morte, con la speranza di giungere alla risurrezione dai morti. Non però che io abbia già conquistato il premio o sia ormai arrivato alla perfezione; solo mi sforzo di correre per conquistarlo, perché anch'io sono stato conquistato da Gesù Cristo. Fratelli, io non ritengo ancora di esservi giunto, questo soltanto so: dimentico del passato e proteso verso il futuro, corro verso la mèta per arrivare al premio che Dio ci chiama a ricevere lassù, in Cristo Gesù." (Fil 3,10-14)
Con Giuliano abbiamo pensato di incontrarci presto, prima delle benedizioni pasquali, pertanto vi comunico che è convocato il Collegio Diaconale martedì 24 Gennaio alle ore 21 nei locali della Caritas della Parrocchia di S.Raffaele-Madonna Alta. Ci vediamo davanti alla Chiesa. Giuliano vi comunicherà l'ordine del giorno.
Nel frattempo vi abbraccio tutti,  la grazia del Signore nostro Gesù Cristo, l'amore di Dio Padre e la comunione dello Spirito Santo sia con tutti voi.

Silvio

sabato 17 gennaio 2009

II Domenica del Tempo Ordinario-18 Gennaio

Anno B Colore:Verde 1 Lett. Sam 3,3b-10.19 2 Lett. 1Cor 6,13c-15.17-20 Vangelo Gv 1,35-42

35 Il giorno dopo Giovanni stava ancora là con due dei suoi discepoli. 36 E, fissando lo sguardo su Gesù che passava, disse: "Ecco l'Agnello di Dio!". 37 E i suoi due discepoli, sentendolo parlare così, seguirono Gesù. 38 Gesù allora si voltò e, osservando che essi lo seguivano, disse loro: "Che cosa cercate?". Gli risposero: "Rabbì – che, tradotto, significa Maestro - , dove dimori?". 39 Disse loro: "Venite e vedrete". Andarono dunque e videro dove egli dimorava e quel giorno rimasero con lui; erano circa le quattro del pomeriggio. 40 Uno dei due che avevano udito le parole di Giovanni e lo avevano seguito, era Andrea, fratello di Simon Pietro. 41 Egli incontrò per primo suo fratello Simone e gli disse: "Abbiamo trovato il Messia" - che si traduce Cristo - 42 e lo condusse da Gesù. Fissando lo sguardo su di lui, Gesù disse: "Tu sei Simone, il figlio di Giovanni; sarai chiamato Cefa" - che significa Pietro. ______________________________________________________________ 35 Th/ evpau,rion pa,lin ei`sth,kei o` VIwa,nnhj kai. evk tw/n maqhtw/n auvtou/ du,o Il giorno dopo Giovanni stava ancora là con due dei suoi discepoli. ______________________________________________________________ L’indomani (= Th/ evpau,rion): ancora una datazione, siamo al terzo giorno (partendo dall’interrogatorio di Giovanni). Giovanni, qui con due discepoli sta ancora al di là del Giordano (Gv 1,28), luogo dove rimarrà finché Gesù non inizierà la sua missione. _____________________________________________________________________ 36 kai. evmble,yaj tw/ VIhsou/ peripatou/nti le,gei\ i;de o` avmno.j tou/ qeou/Å E, fissando lo sguardo su Gesù che passava, disse: "Ecco l'Agnello di Dio!". ____________________________________________________________________ È un momento importante. Colui che Giovanni aveva annunziato gli passa avanti (v. 30) per iniziare la sua attività. L’annuncio di Giovanni è rivolto a due suoi discepoli ai quali egli indica Gesù come l’Agnello pasquale che darà la forza per compiere il nuovo e definitivo Esodo ( cfr. Es 12,1ss ). ______________________________________________________________________ 37 kai. h;kousan oi` du,o maqhtai. auvtou/ lalou/ntoj kai. hvkolou,qhsan tw/ VIhsou/Å E i suoi due discepoli, sentendolo parlare così, seguirono Gesù. _______________________________________________________________ I discepoli comprendono immediatamente l’invito del Battista e lasciano il vecchio maestro per seguire il nuovo. Lasciano colui che annuncia per colui che è stato annunciato. Seguire (hvkolou,qhsan = avkolouqe,w) è un verbo tecnico che indica l’intenzione di vivere con il maestro accogliendo il suo programma _____________________________________________________________________ 38 strafei.j de. o` VIhsou/j kai. qeasa,menoj auvtou.j avkolouqou/ntaj le,gei auvtoi/j\ ti, zhtei/teÈ oi` de. ei=pan auvtw/\ r`abbi,( o] le,getai meqermhneuo,menon dida,skale( pou/ me,neijÈ Gesù allora si voltò e, osservando che essi lo seguivano, disse loro: "Che cosa cercate?". Gli risposero: "Rabbì – che, tradotto, significa Maestro - , dove dimori?". ____________________________________________________________________ Caratteristica di Gesù sarà quella di andare sempre incontro all’inquietudine- desiderio degli uomini. La domanda che Gesù rivolge ai discepoli di Giovanni è diretta agli uomini di ogni tempo: “che cosa cercate?” (ti, zhtei/te). Chi cerca la pienezza della propria esistenza, che vuole realizzare tutte le sue capacità ed energie, trova in Gesù, modello dell’uomo, la piena risposta e il totale appagamento delle sue aspirazioni. Chi cerca di soddisfare la propria sete di ambizione, di possesso, di dominio non può che rimanere deluso e vedrà il messaggio di Gesù come un pericolo che minaccia i propri interessi. Chiamandolo “Rabbì” (r`abbììi.) i discepoli indicano che essi intendono prenderlo per maestro, e chiedendo dove vive vogliono seguirlo in maniera completa. Il rapporto maestro-discepolo implicava non solo l’apprendimento di una dottrina, ma anche di un modo di vivere. ____________________________________________________________________ 39 le,gei auvtoi/j\ e;rcesqe kai. o;yesqeÅ h=lqan ou=n kai. ei=dan pou/ me,nei kai. parV auvtw/ e;meinan th.n h`me,ran evkei,nhn\ w[ra h=n w`j deka,thÅ Disse loro: "Venite e vedrete". Andarono dunque e videro dove egli dimorava e quel giorno rimasero con lui; erano circa le quattro del pomeriggio. ______________________________________________________________ Il verbo della risposta di Gesù è all’imperativo presente (= e;rcesqe = venite), indicando che vale per tutti i tempi. Gesù non si limita ad accogliere il loro desiderio (venite), ma annuncia anche che vedranno (= o;yesqe = vedrete). Il luogo dove Gesù dimora è quello dove ha posto la sua tenda (Gv 1,14), dove brilla la sua gloria-presenza, l’amore fedele di Dio. Questo luogo, la sfera divina, non è possibile conoscerlo con una informazione, ma esige l’esperienza personale. Gesù li invita ad entrare in un ambito di amore per sperimentarlo in pienezza. Gesù non definisce mai se stesso: il contatto con lui farà scoprire e comprendere la sua persona. ____________________________________________________________________ h=lqan ou=n kai. ei=dan pou/ me,nei kai. parV auvtw/ e;meinan th.n h`me,ran evkei,nhn\ Andarono dunque e videro dove egli dimorava e quel giorno rimasero con lui; ____________________________________________________________________ L’evangelista insiste sul verbo rimanere/dimorare (= pou/ me,nei = me,nw), che è apparso per la prima volta nel v. 32 per indicare Gesù come dimora dello Spirito di Dio, dove l’amore di Dio rimane (= e;meinen evpV auvto,nÅ = rimase su di lui). Una volta fatta l’esperienza di questo amore, i discepoli rimangono con Gesù, inserendosi definitivamente nella sfera della vita e della luce. _____________________________________________________________________ w[ra h=n w`j deka,thÅ erano circa le quattro del pomeriggio. _____________________________________________________________________ L’evangelista segnala il momento in cui nasce la comunità di Gesù: l’ora decima, ovvero le quattro del pomeriggio. Secondo il computo dell’epoca il giorno iniziava al tramonto (ora dodicesima). Gesù è giunto in tempo prima della fine del giorno per dare inizio al nuovo, quello che segnerà l’inizio della nuova umanità. ____________________________________________________________________ 40 +Hn VAndre,aj o` avdelfo.j Si,mwnoj Pe,trou ei-j evk tw/n du,o tw/n avkousa,ntwn para. VIwa,nnou kai. avkolouqhsa,ntwn auvtw/\ Uno dei due che avevano udito le parole di Giovanni e lo avevano seguito, era Andrea, fratello di Simon Pietro. _____________________________________________________________________ Ascoltare Giovanni significa seguire Gesù. Dei due primi discepoli di Gesù l’evangelista ne identifica solamente uno, l’altro rimarrà sempre anonimo in tutto il vangelo, in quanto l’evangelista lo indica come modello di discepolo, colui che rimarrà sempre con Gesù e non se ne separerà mai. Questo è il discepolo che gli sarà intimo nella cena (Gv 13,23: evn tw/ ko,lpw = nel seno) capace di mettersi al servizio degli altri come Gesù, gli sarà accanto anche sulla croce (Gv 19,26: to.n maqhth.n parestw/ta o]n hvga,pa = e il discepolo astante che lo amava) e per questo sarà il primo che percepirà la presenza del Cristo risuscitato (Gv 20,8). Non è il discepolo prediletto da Gesù, espressione che mai appare nei vangeli se non riferita al Cristo, “prediletto” dal Padre, ma amato = o]n hvga,pa (Gv 19,26), espressione della normale relazione che Gesù mantiene con i suoi discepoli, come Marta, Lazzaro e Maria (Gv 11,5). Il discepolo identificato si chiama Andrea, che in greco significa “uomo adulto”, viene segnalato per la parentela con Simone, suo fratello, del cui soprannome, Pietro, verrà data la spiegazione lungo il corso del vangelo. ______________________________________________________________ 41 eu`ri,skei ou-toj prw/ton to.n avdelfo.n to.n i;dion Si,mwna kai. le,gei auvtw/\ eu`rh,kamen to.n Messi,an( o[ evstin meqermhneuo,menon cristo,jÅ Egli incontrò per primo suo fratello Simone e gli disse: "Abbiamo trovato il Messia"(ebr.) - che si traduce Cristo(grec.)-Unto(ital.) _____________________________________________________________________ L’esperienza diretta con Gesù, dimora dello Spirito, santuario dal quale si irradia l’Amore del Padre, provoca il desiderio di farlo conoscere ad altri. Il verbo greco eu`rh,kamen = eu`ri,skw indica il “trovare” ciò che si è cercato (eu[rhka!!!= héurēka). La sottolineatura “per primo”, indica che l’attività di Andrea non si limita al fratello ma prosegue. L’enfasi con la quale Andrea annuncia al fratello la sua esperienza, “Abbiamo trovato…” non coinvolge solo l’altro discepolo, ma anche Simone, interessato dunque, anche lui, all’annuncio del Battista. L’indicazione di Gesù quale Messia comprende quella di Agnello di Dio. Gesù è colui che inaugura la nuova Pasqua e il nuovo Esodo. Ma Simone non era presente quando Giovanni ha indicato Gesù come l’Agnello di Dio, colui che i suoi discepoli dovevano seguire. ____________________________________________________________________ 42 h;gagen auvto.n pro.j to.n VIhsou/nÅ evmble,yaj auvtw/ o` VIhsou/j ei=pen\ su. ei= Si,mwn o` ui`o.j VIwa,nnou( su. klhqh,sh Khfa/j( o] e`rmhneu,etai Pe,trojÅ e lo condusse da Gesù. Fissando lo sguardo su di lui, Gesù disse: "Tu sei Simone, il figlio di Giovanni; sarai chiamato Cefa" - che significa Pietro. _____________________________________________________________________ L’evangelista segnala l’anomalo comportamento di Simone. Non esprime alcuna reazione di fronte all’annuncio del fratello e non prende alcuna iniziativa. Deve essere condotto da Andrea a Gesù, e, in tutta la scena dell’incontro con il Messia, non pronuncia neanche una parola. Il verbo fissare (= evmble,yaj auvtw) appare in Giovanni unicamente due volte: in 1,36, quando Giovanni fissa lo sguardo su Gesù, Agnello di Dio, e qui. È lo sguardo che penetra dentro l’intimo della persona e ne svela la realtà più profonda, quella che orienta la sua esistenza. Come Giovanni ha visto in Gesù l’Agnello di Dio, così Gesù vede in Simone il figlio di Giovanni. L’uso dell’articolo determinativo il figlio potrebbe indicare che è figlio unico. Ma l’evangelista ha già detto che Simone è fratello di Andrea. Pertanto il figlio di Giovanni è in relazione a Giovanni Battista. Nella relazione tra maestro e discepolo, questi veniva definito figlio. L’articolo determinativo indica che è il discepolo per eccellenza di Giovanni Battista. Gesù annuncia a Simone che sarà conosciuto come Cefa/Pietro/sasso, termine aramaico che come il greco pe,troj è un nome comune che significa pietra. Gesù non cambia il nome a Simone e mai si rivolgerà a questo discepolo chiamandolo Pietro. Sarà l’evangelista che quando vorrà segnalare la testardaggine di Simone lo chiamerà Pietro. Contrariamente agli altri evangelisti Giovanni non riferisce che Gesù invita Simone a seguirlo. Lo farà solo dopo la sua risurrezione quando Simone avrà compreso che seguire Gesù non significa incamminarsi verso il trionfo ma verso la morte più infamante, quella di croce (Gv 21,15-19). Per adesso registriamo una scena muta da parte di Simone del quale non viene segnalata alcuna reazione e alcuna parola. _____________________________________________________________________ Riflessioni… · Nelle parole interroganti trova origine ogni cosa: la vita, l’amore, il giuramento, la comunicazione…, a condizione che affiori una risposta invitante. · Che cosa cercate?............Dove dimori? Venite e vedrete. Andarono e videro. Gli interlocutori si conoscono, ma cercano dimore per approfondire una relazione appena nata, per instaurare una comunità… · L’Agnello di Dio vive in uno spazio e in un tempo: è lui la dimora, è qui (ecco), ora (erano le quattro…). Tutte le avventure significanti, comprese quelle con Dio, hanno un’ora e uno spazio singolare e riconoscibile: sono le occasioni degli uomini e di Dio punteggiate sui percorsi di ciascun uomo. · Sono occasioni di apprendimento, di relazione, di rinnovamento, di salvezza, di gioia di vivere, sostanziate nelle dinamiche maestro-discepolo, amante-amato o nei contatti vitali tra persona-persona, tra Dio-uomo. · E il percorso esperienziale è tratteggiato da momenti/passaggi di incalzante crescita e progresso: ricercare, domandare, andare, vedere, rimanere, inaugurati dall’impatto di sguardi profondamente umani e proseguiti da annunci coerenti e confermativi di esaltanti esperienze. · Rappresenta la ricerca reciproca che si può svolgere tra Dio e l’uomo, in un contatto appassionato, confidenziale dove ci si potrà anche chiamare Abbà Padre, Cefa… e vivere una singolarissima ed impegnativa esperienza di fede. Linee interpretative del Vangelo domenicale elaborate nell’incontro settimanale del lunedì dal gruppo della Comunità de “Il Filo” insieme con P. Gennaro Lamuro resp. del Servizio Animazione Biblica della Diocesi di Napoli.

giovedì 8 gennaio 2009

BATTESIMO DI GESU'

Grado della Celebrazione: FESTA
Colore liturgico: Bianco
ANNO: B
Prima lettura Is 55,1-11- Venite all’acqua: ascoltate e vivrete.
Seconda lettura 1Gv 5,1-9- Lo Spirito, l’acqua e il sangue.
Vangelo Mc 1,7-11- Tu sei il Figlio mio, l’amato: in te ho posto il mio compiacimento.
____________________________________________________________________ E proclamava: "Viene dopo di me colui che è più forte di me: io non sono degno di chinarmi per slegare i lacci dei suoi sandali. 8 Io vi ho battezzato con acqua, ma egli vi battezzerà in Spirito Santo". 9 Ed ecco, in quei giorni, Gesù venne da Nazaret di Galilea e fu battezzato nel Giordano da Giovanni. 10 E subito, uscendo dall' acqua, vide squarciarsi i cieli e lo Spirito discendere verso di lui come una colomba. 11 E venne una voce dal cielo: "Tu sei il Figlio mio, l’amato: in te ho posto il mio compiacimento”.
____________________________________________________________________
7-Kai. evkh,russen le,gwn\ e;rcetai o` ivscuro,tero,j mou ovpi,sw mou( ou- ouvk eivmi. i`kano.j ku,yaj lu/sai to.n i`ma,nta tw/n u`podhma,twn auvtou/Å E proclamava: " Viene dopo di me colui che è più forte di me: io non sono degno di chinarmi per slegare i lacci dei suoi sandali. 8-evgw. evba,ptisa u`ma/j u[dati( auvto.j de. bapti,sei u`ma/j evn pneu,mati a`gi,wÅ Io vi ho battezzato con acqua, ma egli vi battezzerà in Spirito Santo".
____________________________________________________________________
Giovanni non si considera un protagonista, annuncia l’arrivo di un altro, superiore a lui, che il lettore identifica con Gesù. Sarà superiore a lui in potenza, perché avrà la pienezza dello Spirito; anche per la sua missione, che consisterà nel fondare un nuovo popolo, una società nuova (nuova alleanza cfr. 14,24), perché il ruolo dello sposo, proprio di Dio nell’AT (Os 2,4ss.; Is 54,62; Ger 2; Ez 10), ora spetta a Gesù (cfr. 2,19ss.); questo è espresso dalla frase “non sono degno di chinarmi per slegare il legaccio dei suoi sandali”, che allude alla legge giudaica del levirato: togliere il sandalo significava appropriarsi del diritto dello sposo (cfr. Rt 3,12-13;4,5-8; Dt 25,5-10). L’attività del Messia consiste nell’infondere lo Spirito (cfr. Is 44,3-5; Ez 36,26-28), che potenzia e consacra l’uomo (Santo/santificatore); l’uomo nuovo sarà il fondamento e l’artefice della nuova società, tappa terrena del Regno di Dio.
____________________________________________________________________ 9-Kai. evge,neto evn evkei,naij tai/j h`me,raij h=lqen VIhsou/j avpo. Nazare.t th/j Galilai,aj kai. evbapti,sqh eivj to.n VIorda,nhn u`po. VIwa,nnouÅ Ed ecco, in quei giorni, Gesù venne da Nazaret di Galilea e fu battezzato nel Giordano da Giovanni . Appare Gesù, l’annunciato da Giovanni. Cosciente della sua missione messianica, esprime nel battesimo il suo impegno nei confronti dell’umanità e riceve l’investitura per la sua missione, lo Spirito, che, abilitandolo alla condizione divina, realizza la sua pienezza umana. Spirito dallo Spirito, Gesù entra nella sociètà giudaica, raffigurata dal “deserto”. “In quei giorni” (= evn evkei,naij tai/j h`me,raij)è una formula usata dai profeti per annunciare la nuova alleanza (Ger 31,31.33) o l’effusione dello Spirito (Gl 3,2), indicando l’epoca del compimento delle promesse. Marco presenta Gesù, il protagonista del vangelo: arriva da Nazareth, un villaggio sperduto della regione più nazionalista di Galilea. Con il suo battesimo Gesù manifesta il suo appoggio al movimento suscitato da Giovanni e alla sua esortazione al cambiamento di vita, mostrando il suo impegno per l’eliminazione dell’ingiustizia. Il battesimo di Gesù, però, non significa, come quello della folla, una morte al passato (non c’è confessione di peccati), ma un impegno di dedizione al bene dell’umanità, che comprende la disponibilità a dare la vita per procurare questo bene al popolo (cfr. 10,38ss). 10-kai. euvqu.j avnabai,nwn evk tou/ u[datoj ei=den scizome,nouj tou.j ouvranou.j kai. to. pneu/ma w`j peristera.n katabai/non eivj auvto,n\ E subito, uscendo dall' acqua, vide squarciarsi ( lett. squarciati) i cieli e lo Spirito discendere verso di lui come una colomba. L’impegno di Gesù, espressione del suo amore senza misura per l’umanità, provoca immediatamente una risposta celeste, che l’evangelista descrive con tratti figurati. Anzitutto, si rompe la frontiera tra il mondo divino e quello umano e, nella persona di Gesù, si stabilisce la piena e permanente comunicazione tra Dio e l’uomo (lett.: “vide squarciati i cieli”). Dio comunica a Gesù la pienezza della sua vita/forza, lo Spirito, che costituisce l’unzione messianica (cfr. Is 11,9s; 42,1-4; 61,1s). “La colomba” rimanda alla prima creazione (Gn 1,2: “lo Spirito del Signore si librava sulle acque”); lo Spirito termina la creazione portando Gesù alla pienezza umana, e quindi conferendogli la condizione divina. Il Messia-Unto è l’Uomo-Dio. L’esperienza interna di Gesù viene formulata in due maniere: in termini di visione (“vide [= ei=den] lo Spirito…”) e in termini di ascolto (11: “una voce dal cielo” [= fwnh. evge,neto evk tw/n ouvranw/n]). 11-kai. fwnh. evge,neto evk tw/n ouvranw/n\ su. ei= o` ui`o,j mou o` avgaphto,j( evn soi. euvdo,khsaÅ E venne una voce dal cielo: "Tu sei il Figlio mio, l’amato : in te ho posto il mio compiacimento”. La voce dal cielo esplicita gli effetti della discesa dello Spirito: dichiara Gesù “Il Figlio di Dio”, cioè il Re-Messia (cfr. Sal 2,7), “l’amato” = o` avgaphto,j, come il nuovo Isacco, la cui consegna è accettata dal Padre (cfr. Gn 22,2), e colui che è oggetto del favore divino (“in te ho posto il mio compiacimento”); come era stato detto in altri tempi del Figlio di Dio (Is 42,1), con missione universale (Is 49,1-13), che dava la sua vita per realizzarla (Is 50,4-9; 51,1-8; 52,13-15; 53,12). La scena descrive così l’investitura messianica di Gesù ma è quella di un Messia molto diverso dal “Figlio/successore di Davide” atteso dal popolo giudaico (Mc 10,47s; Mc 11,9s; Mc 12,35-37). È venuto colui che è più forte di Giovanni (1,7). Riflessioni… In quel giorno, del Battesimo, il cerchio si chiude e si completa, e l’inizio si salda con la fine. In principio vengono creati i cieli, ed avviati in moto perpetuo ed armonico. Allora c’erano il Verbo e lo Spirito. Ora quei Cieli si squarciano: sono di nuovo presenti il Verbo, già fatto carne, e lo Spirito che completa la creazione. L’Uomo-Dio, nei tempi della storia, realizza la sua piena umanità ed esplica tutta la sua divinità. I protagonisti umani e celesti del “Presepe” lasciano oggi il posto esclusivo a Dio, Creatore e Padre, che finalmente riprende a parlare direttamente con l’uomo, allo Spirito che avvolge con la sua ombra, a forma di colomba, il Singolare Battezzato: Lui è il Figlio amato, nella piena comunicazione di Amore. E l’uomo, anche il più familiare e più prossimo al mistero divino, comprende che non potrà mai presumere di usurpare il posto del Figlio, può solo misurare la sua distanza, riconoscer-si finito, ed esaltar-si per i suoi limiti, perché “Colui che è più forte” lo salverà. Un Padre che ha voluto svelare a tutti di avere un infinito Amore per il Figlio, di perder-si, e di ritrovar-si in Lui, sottoscrivendo un’adozione a Figli di tutti gli uomini, in un Battesimo di sangue. Un Figlio che riannuncia: Eccomi, e nel Padre si ritrova. Un Amore che tutto sostanzia, al di là di ogni pallido simbolo. E noi, da figli, scrutiamo nei Cieli squarciati, risentiamo una voce familiare di Padre, contempliamo il volto divino, e riaccendiamo ogni umana speranza. Sarà l’inizio della fine di tanti rumori di guerra? Va interpellato quel Padre che nel Figlio ama ogni uomo. Vanno disarmati quei potenti che “suppongono” di essere più forti di Lui, che non sanno più pronunciare parole divine: padre, figlio, amore, compiacimento…
Linee interpretative del Vangelo domenicale elaborate nell’incontro settimanale del lunedì dal gruppo della Comunità de “Il Filo” insieme con P. Gennaro Lamuro resp. del Servizio Animazione Biblica della Diocesi di Napoli.

lunedì 5 gennaio 2009

IL RUOLO DEI DIACONI NELLA PASTORALE INTEGRATA


(settimana 19 giugno 2011/n. 24)



LA PARROCCHIA NELLE SUE ARTICOLAZIONI OFFRE SPAZI E OPPORTUNITÀ PER UN PIÙ APPROPRIATO COINVOLGIMENTO DEI MINISTERI
IL RUOLO DEI DIACONI
NELLA PASTORALE INTEGRATA
Alcune importanti variazioni del quadro sociale ed ecclesiale (diminuzione del numero dei preti, pastorale di vicinanza, mobilità…) aprono al ministero diaconale un vasto campo d’azione, dalla cura delle piccole comunità alla convocazione domenicale in assenza del presbitero,dalla pastorale d’ambiente alla presenza in una pastorale coordinata all’interno delle unità pastorali.
(settimana 19 giugno 2011/n. 24)
In uno dei passaggi della nota pastorale della Cei dal titolo Il volto missionario delle parrocchie in Italia si legge: «Il futuro della chiesa in Italia, e non solo, ha bisogno della parrocchia. È una certezza basata sulla convinzione che la parrocchia è un bene prezioso per la vitalità dell’annuncio e della trasmissione del Vangelo, per una chiesa radicata in un luogo, diffusa tra la gente e dal carattere popolare. Essa è l’immagine concreta del desiderio di Dio di prendere dimora tra gli uomini». Con questa nota – dicono i vescovi nell’introduzione al documento – «non si è voluto neanche fare una riflessione generale sulla parrocchia, ma solo mettere a fuoco ciò che è necessario perché essa partecipi alla svolta missionaria della chiesa in Italia di fronte alle sfide di quest’epoca di forti cambiamenti».1
E più avanti, parlando del segno della fecondità del Vangelo nel territorio, i vescovi sottolineano che la presenza della parrocchia si deve esprimere anzitutto «nel tessere rapporti diretti con tutti i suoi abitanti, cristiani e non cristiani, partecipi della vita della comunità o ai suoi margini. Presenza nel territorio che vuol dire sollecitudine verso i più deboli e gli ultimi, farsi carico degli emarginati, servizio dei poveri, antichi e nuovi, premura per i malati e per i minori in disagio».2
Di questa presenza i primi responsabili sono i parroci e i diaconi ai quali – come si esprime l’episcopato italiano – bisogna affidare ambiti ministeriali, «secondo una figura propria e non derivata rispetto a quella del presbitero, nella prospettiva dell’animazione del servizio su tutti i fronti della vita ecclesiale».3 Vediamo alcuni di questi impegni.
I diaconi a servizio del popolo di Dio
«Nell’esercizio del suo ministero, il diacono aiuta gli altri a riconoscere e a valorizzare i propri carismi e le proprie funzioni nella comunità; in tal modo egli promuove e sostiene le attività apostoliche dei laici».4
Il rapportarsi del diacono ai laici nasce dal fatto che egli, attraverso la grazia sacramentale, è abilitato a recepire le varie necessità, facendo emergere e suscitando servizi e ministeri nel popolo di Dio. Tale posizione che vede il diacono a servizio del popolo di Dio implica che «il diacono, anche se, da un lato, appartiene al clero in quanto ha ricevuto un’ordinazione, dall’altro, condivide la vita dei laici i quali lo sostengono come appartenente a loro».5
Da questa realtà il ministero del diacono, partecipando del sacramento dell’ordine, ha tra i fedeli un’autorevolezza analoga a quella del presbitero; ma, nello stesso tempo, egli, partecipando della condizione comune del popolo, condivide e comprende i problemi di tutti, aiutando anche i presbiteri in tale comprensione. Certamente il ritmo eccessivamente dinamico e talvolta alienante che caratterizza la nostra società e le nostre comunità ecclesiali svuota della loro carica umana i contatti personali e diretti con la gente, per ridursi ad un caotico incrociarsi di rapporti secondari, senza più punti di contatto e senza possibilità di uno scambio vitale di esperienze e di collaborazione. Queste difficoltà sono oggi presenti anche nelle realtà parrocchiali, dove le comunità si avviano verso un anonimato senza volto, verso incontri prevalentemente di massa e talvolta solo formali, privi del contatto umano e personale. È una crisi di comunicazione, perché la
gente oggi non fa più riferimento alla parrocchia per ricevere una formazione adeguata. «Solo una comunità accogliente e dialogante può trovare le vie per instaurare rapporti di amicizia e offrire risposte alla sete di Dio che è presente nel cuore di ogni uomo. Oggi si impone la ricerca di nuovi linguaggi, non autoreferenziali e arricchiti dalle acquisizioni di quanti operano nell’ambito della comunicazione, della cultura e dell’arte. Per questo è necessario educare ad una fede più motivata, capace di dialogare anche con chi si avvicina alla Chiesa solo occasionalmente, con i credenti di altre religioni e con i non credenti. In tale prospettiva […] è necessario che in ogni comunità l’approfondimento di una fede consapevole, abbia piena cittadinanza nel nostro tempo, così da contribuire anche alla crescita della società».6
L’unico momento nel quale il presbitero può raggiungere i suoi fedeli è quello della messa domenicale. Momento che lascia poco spazio al dialogo spontaneo e costruttivo. In questo senso il diaconato e il suo esercizio devono essere visti in relazione ad una chiesa che cresce nella consapevolezza di essere missionaria. Un impegno che deve far decollare la pastorale oltre la semplice conservazione dell’esistente, per farla aprire in maniera coraggiosa alle nuove sollecitazioni che provengono dalla società.
... nei caseggiati, nelle famiglie, negli ambienti di lavoro e di studio.
Negli Orientamenti pastorali della chiesa italiana per il decennio 2010/2020, un paragrafo è dedicato alla parrocchia come crocevia delle istanze educative. Si dice nel documento che «la parrocchia – Chiesa che vive tra le case degli uomini – continua a essere il luogo fondamentale per la comunicazione del Vangelo e la formazione della coscienza credente; rappresenta nel territorio il riferimento immediato per l’educazione e la vita cristiana a un livello accessibile a tutti; favorisce lo scambio e il confronto tra le diverse generazioni; dialoga con le istituzioni locali e costruisce alleanze educative per servire l’uomo. Essa è animata dal contributo di educatori, animatori e catechisti, autentici testimoni di gratuità, accoglienza e servizio. La formazione di tali figure costituisce un impegno prioritario per la comunità parrocchiale, attenta a curarne, insieme alla crescita umana e spirituale, la competenza teologica, culturale e pedagogica. Questo obiettivo resterà disatteso se non si riuscirà a dar vita ad una “pastorale integrata” secondo modalità adatte ai territori e alle circostanze, come già avviene in talune sperimentazioni avviate a livello diocesano».7
Il servizio del diacono può dare un prezioso contributo nel contesto di una pastorale improntata alla concretezza dei rapporti interpersonali immediati, in modo da consentire la “condivisione” di ogni gioia e di ogni dolore. Proprio per questo i vescovi, nel documento Norme e direttive, affermano che si «ritengono più confacenti al ministero diaconale le comunità di non grande dimensione, dove l’autenticità dei rapporti umani facilita l’esercizio della carità e del servizio». I vescovi italiani auspicano una trasformazione delle nostre comunità parrocchiali così che, «articolandosi in comunità minori, acquistino una più profonda fisionomia comunitaria, e quindi un maggior slancio nell’evangelizzazione capillare, diretta a tutti».
Da tutto ciò emerge che il diacono, come sua caratteristica di servizio, è chiamato ad animare capillarmente le comunità ecclesiali. Esigenza che in questi anni non ha dato vita, se non sporadicamente, a comunità ecclesiali “cellulari” nel senso espresso dal documento di Paolo VI Evangelii nuntiandi, in cui si dice che queste comunità «nascono dal bisogno di vivere ancora più intensamente la vita della Chiesa; dal desiderio e dalla ricerca di una dimensione più umana, che comunità ecclesiali più vaste possono difficilmente offrire...», riunendo così «per l’ascolto e la meditazione della Parola, per i sacramenti e il vincolo dell’Agape, gruppi che l’età, la cultura, lo stato civile o la situazione sociale rendono omogenei, coppie, giovani, professionisti ecc.; persone che la vita trova già riunite nella lotta per la giustizia, per l’aiuto fraterno ai poveri, per la promozione umana».8
Questa articolazione della comunità parrocchiale consentirebbe rapporti immediati, comunione di vita, testimonianza di carità. Pertanto i diaconi possono promuovere la convergenza di tutti i bisogni concreti e dei corrispondenti servizi nella comunità parrocchiale. Quindi, come il popolo di Dio, i diaconi vivono e realizzano la loro missione secondo il contesto storico concreto in cui si svolge il loro ministero.
Questa impostazione pastorale significa, inoltre, come dice papa Benedetto, promuovere una rinnovata stagione di evangelizzazione da realizzare nei quartieri, nei caseggiati, nelle famiglie, nelle zone territoriali più lontane dalla parrocchia, portando alla graduale trasformazione organizzativa della comunità, nella quale acquistano maggiore rilevanza le diverse componenti del popolo di Dio. La nascita di gruppi interfamiliari guidati e animati dal diacono, soprattutto mediante la lettura ed il confronto con la parola di Dio, farà emergere i diversi aspetti della vocazione ecclesiale, cioè la comunione, il servizio e la testimonianza, che dovranno poi necessariamente confluire nei consigli pastorali parrocchiali, strumenti di armonizzazione e di corresponsabilità evangelica.
Ora questa prospettiva, che vede il diacono operare a fianco del presbitero, apre varie ipotesi di servizio.
1. Il diacono impegnato come promotore della carità orientato verso i più poveri, sia che si tratti di povertà economica, morale o spirituale. Tale orientamento implica condivisione, scelta preferenziale per i più poveri che si deve tradurre in scelta di “povertà effettiva”. «La scelta preferenziale e il farsi povero non comportano soltanto l’elezione dei poveri come soggetti privilegiati dell’opera di salvezza, ma anche guardare a Dio, al mondo e alla storia dalla loro angolatura. Un Dio che comanda l’elemosina e l’aiuto ai poveri può anche piacere, ma un Dio che chiede di mettersi nella loro condizione è scomodo e provoca scandalo».

Questa preferenza si deve tradurre in una ricerca di coloro per i quali il bisogno è più urgente, quindi nel compito dell’intera comunità cristiana «di saper leggere con sapienza i segni dei tempi, nella prospettiva di quel grande orizzonte di speranza che è proposto all’Apocalisse – Io faccio nuove tutte le cose (Ap 21,5) –, immagine-guida per il 3° convegno della chiesa italiana di Palermo».10 Soprattutto i malati per i quali la sofferenza è vinta dall’amore:11 l’amore esige innanzitutto concretezza.
2. Il diacono animatore della liturgia e particolarmente delle celebrazioni domestiche della Parola deve esercitare questo servizio in modo da far ricordare che ogni espressione della vita cristiana trova nella liturgia “la sua fonte e il suo culmine”.
3. Il diacono animatore dell’azione educativa nelle sue varie articolazioni (bambini, giovani, adulti) o nelle sue varie occasioni (celebrazione dei sacramenti). Si tratta, in una parola, «di realizzare esperienze significative che richiedono di essere sostenute e coordinate. In esse i fedeli di ogni età e condizione sperimentano la ricchezza di autentiche relazioni fraterne; si formano all’ascolto della Parola e al discernimento comunitario; maturano la capacità di testimoniare con efficacia il Vangelo nella società ».12
L’esistenza di rapporti personali immediati costituisce il terreno più favorevole per un’attenzione alle esigenze delle persone e dei gruppi umani, e per dare spazio quindi alla corresponsabilità dei fedeli, nell’esercizio di servizi e ministeri diversi, in conformità dei loro carismi.
Tale esigenza è stata espressa dall’episcopato italiano fin dall’inizio della restaurazione del diaconato permanente nella chiesa italiana. I vescovi ritengono «importante che le parrocchie, articolandosi in comunità minori, acquistino una più profonda fisionomia comunitaria e quindi un maggior slancio nell’evangelizzazione capillare, diretta a tutti».13 Questa direttiva pastorale di particolare importanza trova indicazioni più puntuali sia nel documento col quale i nostri vescovi hanno deciso la restaurazione del diaconato14 che nel piano pastorale per gli anni 70 su Evangelizzazione e ministeri.15 In questo contesto bisogna ricordare le interessanti esperienze avviate in alcune diocesi d’Italia, dove la realizzazione dell’articolazione delle parrocchie in comunità ecclesiali di base ha favorito la nascita di zone di influenza territoriale chiamate diaconie.
... nelle comunità parrocchiali senza presbitero
Uno dei fenomeni dell’attuale momento storico ecclesiale è la diminuzione del numero dei presbiteri e, conseguentemente, il progressivo moltiplicarsi di comunità parrocchiali senza la presenza del presbitero. Anche se la restaurazione del diaconato nella chiesa non nasce da motivi dovuti alla scarsità di vocazioni presbiterali, i vescovi italiani, nel delineare gli spazi dove il
diacono può esercitare il suo ministero, dicono primariamente che esso si caratterizza come servizio attivo nel piano pastorale diocesano e come apertura e disponibilità per i bisogni dell’intera chiesa particolare.16 Ciò non toglie, dunque, che il diacono possa essere anche impegnato nelle comunità parrocchiali senza presbitero residente.17
Davanti a tali situazioni la Chiesa non è rimasta indifferente: sia da parte dei vescovi sia da parte delle stesse comunità cristiane si è avuta una certa preoccupazione tesa ad assicurare soprattutto la tradizione cristiana della domenica, come giorno del Signore.
Questo incontro, fondamentalmente, è la celebrazione eucaristica. Quando però non può aver luogo questa pienezza sacramentale, è tuttavia possibile incontrarsi con il Signore attraverso altre forme della sua presenza reale nella Chiesa: la parola di Dio, l’assemblea stessa dei credenti...
Una risposta in tal senso è stata data dalla Congregazione per il culto divino con la pubblicazione del Direttorio per le celebrazioni domenicali in assenza del presbitero.18
Si tratta in ogni caso di proporre alcune celebrazioni alternative alla messa domenicale, affermando chiaramente che l’assenza del presbitero non è una semplice questione legata alla mancanza di tempo dei sacerdoti. Da tutto ciò derivano delle conseguenze di tipo pastorale.
La prima è l’urgenza dello sforzo perché non manchi l’eucaristia ogni domenica.
La seconda conseguenza è la valorizzazione della domenica come festa primordiale. Se la domenica continuerà a dare l’impressione di essere un giorno festivo aperto a qualsiasi celebrazione, un giorno scevro di qualsiasi contenuto, ciò dimostrerà che non si è fatta una corretta pastorale della domenica come celebrazione settimanale della pasqua del Signore. 19 È precisamente questo contenuto a unire strettamente la domenica con l’eucaristia.20
La preoccupazione pastorale odierna nasce da un elemento drammatico della nostra società: la solitudine dell’uomo e l’insoddisfazione delle sue profonde aspirazioni, tra cui quelle religiose.
Nella società odierna, la domenica è minacciata, da un problema sempre più diffuso: la progressiva secolarizzazione e la crescente scomparsa della domenica come giorno festivo. È una sfida che si fa prepotente nel nostro paese.
Un apporto qualitativamente diverso al problema delle comunità che non possono celebrare l’eucaristia è dato dalla presenza del diacono non certamente perché il diacono possa celebrare l’eucaristia, ma piuttosto perché la sua presenza è presenza di un pastore della Chiesa,21 chiamato
a pascere il popolo di Dio e farlo crescere. Egli è il primo collaboratore chiamato a presiedere 22 queste celebrazioni domenicali.23
...nelle parrocchie affidate in solidum
Orientamenti e Norme sviluppa il rapporto di reciprocità e lo stretto legame tra condizione del diaconato e condizione di chiesa, tra modello di diaconato e modello di chiesa, mettendo in risalto non solo che la presenza del diaconato può favorire un cammino di chiesa più vivace e fecondo nella missione, ma anche un percorso inverso, cioè che «il diaconato può dare i suoi frutti migliori nel contesto di progetti pastorali improntati a corresponsabilità e nei quali il ministro ordinato sia chiamato ad animare e a guidare – non a sostituire – la vivacità degli impulsi che lo Spirito suscita nel popolo di Dio».24
Una rilevante conseguenza pratica viene dedotta dal fatto che il «diacono può essere impegnato anche nelle comunità... affidate in solidum ad un gruppo di sacerdoti, per la cura di quegli ambiti che sono propri del ministero diaconale».25
In questi anni stiamo assistendo ad una trasformazione della pastorale che coinvolge il volto della parrocchia che deve adeguarsi ad un mondo che cambia, senza perdere di vista la propria identità e la sua tipica originalità di “laboratorio” di prima e nuova evangelizzazione.
Quando si parla di “unità pastorali”26, si parla di un nuovo modo di rapportare la parrocchia con il territorio che la abita. È ormai riconosciuto alla parrocchia il carattere di fondamentale articolazione della chiesa e del suo ministero, per riferimento alle forme quotidiane della vita cristiana. Essa è il luogo “ordinario” della celebrazione eucaristica, sorgente e forma della comunità ecclesiale, luogo della catechesi di iniziazione cristiana. Il suo carattere “territoriale” la presenta
come “luogo” di vita cristiana, per tutti i fedeli, “casa comune” per tutti, che non indulge a criteri elitari di scelte e dedica una cura particolare a chi appare più povero, più emarginato e più lontano.
Tuttavia, il carattere “rigorosamente” territoriale della parrocchia è oggi messo in discussione dalle mutate condizioni sociali. La gente oggi vive in una mobilità sociale e in una quantità di situazioni e di ambienti che travalicano il raggio dell’azione pastorale “normale” delle nostre parrocchie.
La nascita e i motivi che hanno determinato la costituzione delle unità pastorali sono da ricercarsi: a) nella scarsità di presbiteri, quindi una congiuntura storica; b) nella necessità di promuovere una pastorale coordinata, cioè una pastorale d’insieme.
Certamente il progetto delle unità pastorali non può essere riconducibile solo al problema della diminuzione numerica dei presbiteri e, conseguentemente, della loro ridistribuzione sul territorio. La motivazione più profonda è da ricercare nell’ecclesiologia del Vaticano II che ci ha offerto una visione di Chiesa nella quale deve essere promossa e attuata la partecipazione e la corresponsabilità di tutti i fedeli, secondo il principio dell’unità di missione nella diversità dei ministeri, degli uffici e delle funzioni.
Tutto questo significa riscoprire, da una parte, la vocazione missionaria della Chiesa e, dall’altra, la comunione per una pastorale d’insieme, cioè lavorare insieme riconoscendo i carismi e i ministeri presenti nella comunità cristiana e impostando in una maniera nuova il servizio pastorale.27
Questa rinnovata visione porta necessariamente a ripensare la pastorale parrocchiale e, in particolare, il suo animatore. Si tratta in definitiva di affidare, in solido, la cura pastorale di più parrocchie o comunità cristiane situate in un’area omogenea territoriale ad uno o più presbiteri coadiuvati da diaconi, religiosi e fedeli laici.
In solidum significa che è affidata ad ogni membro del gruppo l’attività pastorale delle comunità parrocchiali interessate, attività da svolgere in comunione con tutti gli altri. Tutta la linea di azione pastorale e l’affidamento dei vari compiti e servizi saranno coordinati da un moderatore, così come viene chiamato dal Codice di diritto canonico28, colui che ha la responsabilità e informa stabilmente il vescovo.
È evidente che con le unità pastorali non si vuole affermare il superamento della parrocchia intesa tradizionalmente come “comunità territoriale”, ma si ha il superamento della sua autonomia, passando da una parrocchia chiusa in se stessa ad una comunità parrocchiale aperta, in un contesto di comunione e di coordinamento dell’azione pastorale.
Risulta quindi necessario “riequilibrare” l’azione pastorale, spostando il baricentro della parrocchia intesa in senso “autoreferenziale” (tutta concentrata all’ombra del campanile) verso la prospettiva tipicamente “missionaria”, intesa come normalità quotidiana e dimensione costante della cosiddetta “pastorale ordinaria”.
Gli ambiti di azione comune possono essere individuati nei rapporti con la società civile, le iniziative di volontariato, la pastorale d’iniziazione cristiana e sacramentale in genere, la formazione degli operatori pastorali, la pastorale giovanile. Pertanto, una delle condizioni necessarie per dare vita a tale realtà è quella di avere figure ministeriali necessarie per la vita della comunità che, collaborando, mettano a disposizione i propri doni e le proprie risorse spirituali e materiali.
Conseguentemente, si pone un problema molto delicato, cioè quello del rapporto tra i presbiteri e i diaconi. I parroci devono avere la possibilità di ripensare al proprium originario del loro ministero: dedicazione alla preghiera e al ministero della Parola. Una delle conseguenze che hanno dato origine alla scomparsa del ministero diaconale è stata proprio la difficoltà nel rapporto tra ministero diaconale e ministero presbiterale. L’esperienza concreta di modelli di comunione e di buon rapporto tra questi due ministeri ordinati può favorire certamente la promozione del diaconato nelle nostre comunità locali.
Mi piace concludere con le parole dei vescovi italiani che, parlando della dimensione missionaria dell’azione educativa, affermano, facendo riferimento ad Atti 1,8, che «è lo Spirito a formare la Chiesa per la missione, la testimonianza e l'annuncio. Grazie alla sua forza, la Chiesa diventa segno e strumento della comunione di tutti gli uomini tra loro e con Dio, manifesta l'amore fraterno da cui
ciascuno può riconoscere i discepoli del Signore (cf. Gv 13,35) e proclama in ogni lingua le grandi opere di Dio tra i popoli (cf. At 2,9-11)».29
Dunque l'azione educativa, assunta dai vescovi italiani come prioritaria per il prossimo decennio, necessita di luoghi credibili:30 anzitutto la famiglia, con il suo ruolo peculiare e irrinunciabile; la scuola, orizzonte comune al di là delle opzioni ideologiche; la parrocchia, '"fontana del villaggio", luogo ed esperienza che inizia alla fede nel tessuto delle relazioni quotidiane. In ognuno di questi ambiti l'apporto della qualità del ministero dei diaconi diventa una delle vie privilegiate della missione evangelizzatrice della diaconia della Chiesa.
Enzo Petrolio

sabato 3 gennaio 2009

Essere Diacono tra i reclusi ma non esclusi

(Articolo pubblicato sulla Rivista
Il Diaconato in Italia gennaio- febbraio 2012)


Sono un diacono della diocesi di Napoli, è da circa quattro anni vivo una parte del mio ministero come assistente volontario nella Casa Circondariale di Secondigliano, facendo colloqui e/o catechesi.
Questa esperienza mi arricchisce sia spiritualmente che moralmente perché mi permette di vivere insieme ai reclusi il loro senso di abbandono e di rifiuto della comunità.
Premetto che chiunque di noi commette un reato contro il patrimonio sociale o contro le persone, è giusto che trascorra un periodo di “riflessione” sull’errore commesso, questo percosso deve essere sempre vissuto nel rispetto della dignità della persona, senza che essa perda la propria identità.
Ho avuto modo in questo periodo di conoscere vari reclusi, per diversi reati e di frequentare vari reparti della Casa Circondariale dall’infermeria centrale al CDT.
In questo periodo seguo i reclusi del settore “T2”, questo settore ospita tutti coloro che durante il periodo di reclusione devono vivere un periodo di isolamento. Questi uomini dialogano con pochissime persone selezionate ed ora mi ritrovo a condividere le loro esperienze, le loro situazioni familiari e soprattutto il perché si ritrovano reclusi. Tra le tante vite sento il dovere morale di raccontarne una.
Un giorno conobbi un giovane di circa venticinque anni, recluso perché stava scontando una condanna per rapina a mano armata più un residuo di pena per spaccio di stupefacenti.
Parlando con lui del perché l’uomo arrivi a compiere un tale gesto mettendo a repentaglio la vita di un altro essere umano, ha iniziato a raccontarmi la sua infanzia. All’età di sei anni, mentre tutti i bambini venivano accompagnati a scuola dai genitori con il loro zainetto nuovo, lui nello zainetto insieme ai quaderni aveva la droga, era un “corriere”.
Col passare del tempo insieme ai suoi anni crescono le sue “responsabilità”, lo zainetto adesso conteneva armi. I suoi unici amici erano spacciatori, tossicodipendenti, prostitute e rapinatori, di li a poco abbandonò la scuola … cosi la vita ha continuato a scorrere arrivando alla casa circondariale.
Ho raccontato volontariamente di questa vita perché ritengo che l’istruzione sia un elemento fondamentale per la crescita e la formazione delle persone, senza la cultura e la conoscenza l’uomo in quanto tale diventa uno strumento nelle mani di tutti coloro che non vogliono che gli uomini crescono e diventino liberi.
La libertà la si acquista con la conoscenza, impegniamoci tutti affinché i bambini abbiano la possibilità di crescere in una società che pone al primo posto la “cultura”, concludendo condivido con voi un pensiero del teologo David Maria Turoldo “Non c’è salvezza per l’uomo se prima non si salva il bambino”.
In Cristo
Diacono Sebastiano Mazzara

venerdì 2 gennaio 2009

La Civiltà Cattolica-IL DIACONATO-Espressione del Servizio della Chiesa-15 Marzo 2003

La Civiltà Casttolica IL DIACONATO Espressione del sevizio nella Chiesa
15_03_2003
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EDITORIALE La Civiltà Cattolica 2003 I 561-569 (quaderno 3666 del 15 marzo 2003)
IL DIACONATO, ESPRESSIONE DEL SERVIZIO NELLA CHIESA
Il testo del documento della Commissione Teologica Internazionale (CTI) su Il diaconato: evoluzione e prospettive (cfr Civ. Catt. 2003 I 253-336), come si legge nella «Nota preliminare», è frutto di un lavoro decennale di due Sottocommissioni e della revisione della Commissione in seduta plenaria. Esso costituisce una espressione significativa della funzione dei teologi nella Chiesa, che consiste nell'«acquisire, in comunione con il Magistero, un'intelligenza sempre più profonda della parola di Dio contenuta nella Scrittura ispirata e trasmessa dalla tradizione viva della Chiesa» (cfr Congregazione per la Dottrina della Fede, La vocazione ecclesiale del teologo [1990], n. 6). Infatti, non solo fa un esauriente excursus del passato, ma espone anche le posizioni maturate nel postconcilio, invitando a ulteriori ricerche. Da tale lavoro potrà derivare una rilettura e un rinnovamento (recreation): ossia qualcosa di nuovo, benché nella continuità di fondo con la Tradizione. Si tratta di operare secondo la legge dello sviluppo nella continuità. La storia della salvezza infatti procede e si realizza - «tende alla verità tutta intera» { Gv 16,13 ) - nel tempo e sempre creativamente, approfondendo il depositum /idei, anche in dialogo con la situazione storico-culturale.
In tal senso è significativo il sommario che apre il cap. VII, il quale invita a esaminare come i testi conciliari relativi al diaconato «siano stati recepiti e poi approfonditi nei documenti del Magistero, [a] tenere conto del fatto che il ripristino del diaconato si è realizzato in modo disuguale nel periodo postconciliare e, soprattutto, [a] prestare una particolare attenzione alle oscillazioni di tipo dottrinale che hanno accompagnato come un'ombra tenace le varie posizioni pastorali». Il documento, dopo aver ricordato che «diversi e numerosi sono gli aspetti che richiedono oggi uno sforzo di chiarificazione teologica», in quest'ultimo capitolo intende contribuire allo sforzo di chiarificazione, identificando «dapprima le radici e le ragioni che fanno dell'identità teologica ed ecclesiale del diaconato (permanente e transitorio) un'autentica quaestio disputata su determinati aspetti»; e precisando poi «una teologia del ministero diaconale che possa costituire la base comune e sicura capace di ispirarne il rinnovamento (recreation) fecondo nelle comunità cristiane». Tale rinnovamento deve essere attuato, come dicevamo, nella continuità della Tradizione. Uno stimolo su questa strada viene dal cap. II del documento, che ricostruisce scientificamente il senso di una eredità.
* * *
Il cap. II del documento sottolinea come i termini diakonein e diakonos nel Nuovo Testamento siano «molto generici». In particolare At 6,1-6 «descrive l'istituzione dei "Sette" "per il servizio delle mense". La ragione è data da Luca con l'indicazione di una tensione all'interno della comunità: "Sorse un malcontento tra gli ellenisti (egeneto goggysmos) verso gli ebrei, perché venivano trascurate le loro vedove nella distribuzione quotidiana" (At 6,1». Ma - osserva la CTI - «la ragione data per la designazione dei Sette eletti (le mormorazioni tra gli ellenisti) è in contraddizione con la loro attività com'è descritta successivamente da Luca. Non sappiamo nulla del servizio delle mense».
All'epoca della Didachè (prima del 130 d. C.) «i diaconi erano responsabili della vita della Chiesa riguardo alle opere di carità in favore delle vedove e degli orfani [. ..]. Le loro attività erano senza dubbio connesse con la catechesi e probabilmente anche con la liturgia. I dati su questo argomento però sono talmente succinti che è difficile dedurne quale fosse di fatto la portata delle loro funzioni». Sant'Ignazio di Antiochia, poi, nella Lettera ai cristiani di Smirne, scrive: «Seguite tutti il vescovo, come Gesù Cristo [segue] il Padre, e i presbiteri come gli apostoli; quanto ai diaconi, rispettateli come la legge di Dio».
La Tradizione apostolica di Ippolito di Roma (morto il 235) «presenta per la prima volta lo statuto teologico e giuridico del diacono nella Chiesa. Egli lo annovera nel gruppo degli ordinati con l'imposizione delle mani (cheirotonein), opponendoli a coloro che nella gerarchia sono chiamati istituti. L'"ordinazione" dei diaconi è fatta unicamente dal vescovo. Tale vincolo definisce l'ampiezza dei compiti del diacono, che è a disposizione del vescovo per eseguirne gli ordini, ma che è escluso dalla partecipazione al consiglio dei presbiteri». «Riassumendo - prosegue la CTI - possiamo dire che, al di là
La Civiltà Casttolica IL DIACONATO Espressione del sevizio nella Chiesa
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del fatto dell'esistenza del diaconato in tutte le Chiese sin dall'inizio del Il secolo e del suo carattere di ordine ecclesiastico, i diaconi all'inizio svolgono dappertutto lo stesso ruolo, benché gli accenti posti sui diversi aspetti del loro" impegno siano distribuiti diversamente nelle varie regioni. Il diaconato raggiunge la sua stabilizzazione nel corso del IV secolo. [. ..Infatti il] sec. IV segna la conclusione del processo che ha condotto a riconoscere il diaconato come un grado della gerarchia ecclesiale, posto dopo il vescovo e i presbiteri, con un ruolo ben definito. Legato alla missione e alla presenza del vescovo, tale ruolo comprendeva tre compiti: il servizio liturgico, il servizio di predicare il Vangelo e di insegnare la catechesi, come anche una vasta attività sociale concernente le opere di carità e un'attività amministrativa secondo le direttive del vescovo».
Circa il ministero delle diaconesse, l'ultima sezione del cap. II afferma che «è veramente esistito un ministero di diaconesse che si è sviluppato in maniera diseguale nelle diverse parti della Chiesa. Sembra evidente che tale ministero non era inteso come il semplice equivalente femminile del diaconato maschile. Si tratta per lo meno di una funzione ecclesiale, esercitata da donne, talvolta menzionata prima del suddiacono nella lista dei ministeri della Chiesa. Tale ministero era conferito con un'imposizione delle mani paragonabile a quella con cui erano conferiti l'episcopato, il presbiterato e il diaconato maschile? n testo delle Costituzioni apostoliche lo lascerebbe pensare, ma si tratta di una testimonianza quasi unica, e la sua interpretazione è oggetto di intense discussioni. L'imposizione delle mani sulle diaconesse dev'essere equiparata a quella compiuta sui diaconi o si situa piuttosto nella linea dell'imposizione delle mani fatta sul suddiacono e sul lettore? E difficile dirimere la questione partendo dai soli dati storici».
Nel cap. III il documento esamina la progressiva scomparsa del diaconato permanente, il quale si trasforma in passaggio temporaneo verso il presbiterato, mentre nel sec. X sono del tutto scomparse le diaconesse. Infatti - osserva la CTI - la «storia dei ministeri mostra che le funzioni sacerdotali hanno avuto la tendenza ad assorbire le funzioni inferiori. Quando il cursus clericale si è stabilizzato, ogni grado possiede competenze supplementari in rapporto al grado inferiore: ciò che fa un diacono lo può fare anche un presbitero. Al vertice della gerarchia, il vescovo può esercitare la totalità delle funzioni ecclesiastiche. Questo fenomeno di concentrazione delle competenze e di sostituzione delle funzioni inferiori con quelle superiori, la frammentazione delle competenze originarie dei diaconi in molte funzioni subalteme clericalizzate, l'accesso alle funzioni superiori per gradum spiegano come il diaconato, in quanto ministero permanente, abbia perduto la sua ragion d'essere. Gli rimanevano soltanto i compiti liturgici esercitati ad tempus dai candidati al sacerdozio».
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Connessi al diaconato ci sono vari problemi complessi e di non facile soluzione, che richiamiamo per cenni. Sicuramente il diaconato è un ministero antichissimo, già presente nella Chiesa apostolica, e di grande rilevanza nei primi secoli. Un secondo punto concerne il fatto che Gesù, in modo diretto, istituì solamente il Collegio apostolico. Ma già Atti 6 attesta che gli Apostoli sentono il bisogno di avere alcuni collaboratori cui affidare il servizio delle mense. Una lunga tradizione vede in questo l'istituzione del ministero diaconale, benché oggi ciò non sia universalmente accettato. E comunque fuori discussione che la Chiesa, nell'arco dei secoli, ha sempre inteso l'istituzione della pienezza del ministero sacerdotale negli Apostoli congiunta alla potestà di individuare altre funzioni particolari.
Infine sta il fatto che il diaconato, importantissimo nei primi secoli, decadde progressivamente fino a ridursi a semplice grado temporaneo del cursus clericale; e che il Vaticano II intese riproporlo come ministero permanente. Nella Lumen gentium (n. 29) «la proposizione secondo la quale si impongono le mani ai diaconi "non ad sacerdotium, sed ad ministerium" diventerà un riferimento chiave per la comprensione teologica del diaconato. Tuttavia molti interrogativi sono rimasti aperti sino ai nostri giorni per le ragioni seguenti: la soppressione del riferimento al vescovo nella formulazione accettata, l'insoddisfazione di alcuni di fronte alla sua ambiguità, l'interpretazione data dalla Commissione, e la portata della distinzione stessa tra sacerdotium e ministerium». La Commissione dottrinale del Concilio si espresse in questi termini: significanti diaconos non ad corpus et sanguinem Domini o//erendum sed ad servitium caritatis in Ecclesia.
Il documento, dopo aver esaminato il motuproprio Ad pascendum (1972) di Paolo VI, prosegue: «In conclusione: se il Vaticano II ha parlato con prudenza ed ex obliquo della natura sacramentale del
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diaconato, non è stato solamente a causa della preoccupazione di non condannare nessuno, ma piuttosto a motivo dell"'incertitudo doctrinae". Dunque, per assicurare la natura sacramentale non basta né l'opinione maggioritaria dei teologi (c'era anche relativamente al suddiaconato), né la sola descrizione del rito dell'ordinazione (che occorre chiarire alla luce di altre fonti), né la sola imposizione delle mani (che può essere di natura non sacramentale».
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Come dunque dobbiamo intendere oggi questo servizio? «Quando si esaminano le statistiche disponibili - afferma la CTI nel cap. VI -, ci si rende conto dell'immensa disparità esistente nella ripartizione dei diaconi nel mondo. Su un totale di 25.122 diaconi ne11998, l'America del Nord ne conta da sola un po' più della metà, cioè 12.801 (50,9%), mentre l'Europa ne enumera 7.864 (31,3%): ciò rappresenta per i Paesi industrializzati del Nord del pianeta un totale di 20.665 diaconi (82,2%). Il rimanente 17,8% si suddivide così: America del Sud: 2.370 (9,4%); America Centrale e Antille: 1.387 (5,5%); Africa: 307 (1,22%); Asia: 219 (0,87%). L'Oceania chiude l'elenco con 174 diaconi, cioè lo 0,69% del totale. Un fatto non può non colpirci: il diaconato si è sviluppato soprattutto nelle società industriali progredite del Nord. Ciò non era stato affatto previsto dai Padri conciliari quando avevano chiesto una "riattivazione" del diaconato permanente. Si aspettavano piuttosto uno sviluppo rapido nelle giovani Chiese in Africa e in Asia, nelle quali la pastorale si appoggiava su un gran numero di catechisti laici. [...] Le statistiche ci permettono di intravedere che si è dovuto reagire a due situazioni molto diverse. Da una parte, la maggior parte delle Chiese nell'Europa Occidentale e nell'America del Nord hanno dovuto far fronte, dopo il Concilio, a una diminuzione molto forte del numero dei preti e hanno dovuto procedere a una riorganizzazione significativa dei ministeri. Dall'altra, le Chiese sorte in maggioranza dagli antichi territori di missione si erano date da molto tempo una struttura ricorrendo all'impegno di un gran numero di laici, i catechisti».
Avviandosi alla conclusione, nel cap. VII/2 il documento riafferma che «considerare il diaconato come una realtà sacramentale costituisce la dottrina più sicura e più coerente con la prassi ecclesiale. Se se ne negasse la sacramentalità, il diaconato costituirebbe una forma di ministero fondato sul battesimo; rivestirebbe un carattere funzionale, e la Chiesa godrebbe di una grande capacità di decisione relativamente alla sua instaurazione o alla sua soppressione, come pure alla sua configurazione concreta; in ogni caso godrebbe di una libertà di azione molto più ampia di quella che le è concessa sui sacramenti istituiti da Cristo. Negando così la sacramentalità, si farebbero scomparire i principali motivi che fanno del diaconato una questione teologicamente disputata. Ma tale, negazione ci condurrebbe ai margini della linea del Vaticano II. E dunque a partire dalla sua sacramentalità che si dovrà trattare degli altri problemi concernenti la teologia del diaconato».
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Per delineare una sintesi del documento possiamo ripartire da questo passaggio: «L'esercizio concreto del dia conato nei diversi ambienti contribuirà anche a definire la sua identità ministeriale, modificando, se necessario, un quadro ecclesiale nel quale il suo vincolo con il ministero del vescovo appare appena, e la figura del prete è identificata con la totalità delle funzioni ministeriali. A tale evoluzione contribuirà la coscienza viva che la Chiesa è "comunione". Tuttavia, gli interrogativi teologici relativi ai "poteri" specifici del diaconato potranno difficilmente trovare una soluzione soltanto attraverso la via pratica. [...] Così si possono osservare diverse proposte della teologia contemporanea che cercano di conferire al diaconato solidità teologica, accettazione ecclesiale e credibilità pastorale» {IV /2) .
Un elemento positivo è l'indicazione di una triplice determinazione del sacramento dell'ordine in episcopato, presbiterato e diaconato: ai primi due è collegata la presidenza dell'Eucaristia, mentre il terzo ha soltanto un accenno a una possibile presidenza liturgica {liturgia della parola, matrimonio, esequie). Ulteriore indicazione sufficientemente acquisita è la ripresentazione di Cristo capo e servo. Prezioso è anche il riferimento di tutto il sacramento dell'ordine e, in particolare, a modo suo proprio, del diaconato al bene di tutta la Chiesa {edificazione e missione), col tentativo di identificare un proprium non parcellizzato in singole direzioni {liturgia, carità, pastorale) ma sempre con uno sguardo unitario, ossia ai
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vari ambiti di organica attuazione dell'azione ecclesiale, che si avvale dei diversi elementi strutturanti l'azione della fraternità cristiana.
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La sacramentalità del diaconato va compresa nella prospettiva unitaria del sacramento dell'Ordine. La sacramentalità dell'Ordine consiste nel rendere presente Cristo che agisce nella persona del ministro che guida la Chiesa (capo), nello stile del servizio (servo) per condurre la Chiesa stessa (pastore), resa feconda con la parola e i sacramenti nel dono dello Spirito (sposo) verso i pascoli della vita eterna (escatologia), avendo compiuto la missione di evangelizzare l'umanità per l'edificazione del regno di Dio. L'Ordine, pur essendo un unico sacramento che abilita al ministero, assume diverse espressioni di attuazione del ministero stesso - episcopato, presbiterato e diaconato - non riducibili né sostituibili tra loro: agiscono in unità organica per mettere in grado la fraternità ecclesiale di edificarsi in corpo di Cristo e di compiere la missione ricevuta dallo stesso Cristo. La sacramentalità dell'Ordine trova la sua espressione fondamentale nella presidenza, a partire dall'Eucaristia, che costituisce la funzione sintetica e originante di tutta la vita e l'azione della Chiesa.
Ciascuna delle tre espressioni ne esercita con vera titolarità una esigenza: l'episcopato, con la sua presidenza dell'Eucaristia di tutta la fraternità ecclesiale diocesana, serve l'unità dell'azione dell'intero popolo di Dio che vive nella diocesi, nella diversità dei soggetti, nella varietà dei campi, nella molteplicità degli in1pegni individuati attraverso il discernin1ento pastorale comune. n presbiterato, con la presidenza dell'Eucaristia celebrata nelle molte localizzazioni della fraternità ecclesiale diocesana, serve - a somiglianza del vescovo e in unione con lui - l'attuarsi della Chiesa secondo l'esigenza e le possibilità dei diversi luoghi. n diaconato, infine, senza una presidenza dell'Eucaristia, ma a partire dall'Eucaristia presieduta dal vescovo o dal presbitero, esercita la responsabilità di mettere in opera o di curare l'attuazione {sia diretta, sia attraverso la valorizzazione operativa dei carismi e ministeri di altri) dell'azione ecclesiale nei suoi vari ambiti (prima evangelizzazione, educazione del cristiano, edificazione della fraternità ecclesiale, presenza efficace nella società) come collaboratore ordinato dell'ordine episcopale e dell'ordine presbiterale.
Ciò richiede il servizio del diaconato nelle azioni liturgiche (o in collaborazione con il vescovo e il presbitero, o per celebrazioni del battesimo, del matrimonio senza Eucaristia, esequie, celebrazioni della Parola), nelle azioni di educazione dei cristiani nella fede (itinerari catecumenali e di iniziazione cristiana, catechesi e formazione), nelle azioni di edificazione della fraternità ecclesiale (individuazione, formazione e valorizzazione dei carismi e ministeri dei battezzati, attuazione dei progetti diocesani e parrocchiali), nelle azioni di presenza nella cultura e nella società, di promozione e di solidarietà {nei molteplici campi individuati dalla evangelizzazione della cultura, dalla dottrina sociale e dalla sollecitudine verso le molte povertà).
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Il documento ricorda opportunamente e in più luoghi che la teologia del sacramento dell'Ordine ha oscillato tra le diverse immagini che esprimono la ricchezza della persona di Cristo nel voler indicare riferimenti specifici per le diverse attuazioni: capo, pastore, sposo, servo. Le prime tre sono state preferibilmente collegate con l'episcopato e il presbiterato, mentre l'ultima per lo più con il diaconato, anche se non manca - sia nelle elaborazioni teologiche sia negli insegnamenti del Magistero - il riferimento del presbiterato e dell'episcopato a Cristo servo e del diaconato a Cristo capo. In realtà, occorre recuperare il riferimento di ogni espressione ministeriale alla persona completa del Cristo, poiché le diverse caratteristiche non sono aggiuntive l'una all'altra, ma indicano un'articolazione interna e una finalizzazione dell'opera del Cristo e, quindi, di chi ne è strumento sacramentale, ciascuno, nel modo che gli è proprio, per rendere presente Cristo nella sua interezza.
Nel documento si parla spesso del diaconato permanente come la forma da recuperare e riesprimere oggi nella Chiesa. In proposito è importante richiamare quanto lo stesso documento sottolinea nella Conclusione: «Il diaconato, per il suo modo di partecipare all'unica missione di Cristo, realizza sacramentalmente questa missione come servizio ausiliario». Pur nella sua peculiarità inconfondibile, esso «mantiene, proprio in quanto tale, un legame costitutivo col ministero sacerdotale, al quale presta il
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proprio servizio (cfr Lumen gentium, n. 41). Non è un servizio qualsiasi che è attribuito al diacono nella Chiesa: il suo servizio appartiene al sacramento dell'Ordine in quanto collaborazione stretta con il vescovo e con i presbiteri, nell'unità della medesima attualizzazione ministeriale della missione di Cristo». Il catechismo della Chiesa Cattolica (n. 1554) cita sant'Ignazio di Antiochia: «Tutti riveriscano i diaconi come Gesù Cristo, come pure il vescovo, che è l'immagine del Padre e i presbiteri come il senato di Dio e come l'assemblea degli apostoli: senza di loro non si può parlare di Chiesa».
Circa le diaconesse il documento fa un rapido accenno nella conclusione, rimandando al discernimento del Magistero un pronunciamento su1l'intera questione: «Per quel che riguarda l'ordinazione delle donne al diaconato, conviene notare due indicazioni importanti che emergono da quanto è stato sin qui esposto: 1) le diaconesse di cui si fa menzione nella Tradizione della Chiesa primitiva - secondo ciò che suggeriscono il rito di istituzione e le funzioni esercitate - non sono puramente e semplicemente assimilabili ai diaconi; 2) l'unità del sacramento dell'Ordine, nella chiara distinzione tra i ministeri del vescovo e dei presbiteri da una parte, e il ministero diaconale dall'altra, è fortemente sottolineata dalla Tradizione ecclesiale, soprattutto nella dottrina del Concilio Vaticano II e nell'insegnamento postconciliare del Magistero. Alla luce di tali elementi posti in evidenza dalla presente ricerca storico-teologica, spetterà al ministero di discernimento che il Signore ha stabilito nella sua Chiesa pronunciarsi con autorità sulla questione».
E il documento così si conclude: «Al di là di tutti i problemi che solleva il diaconato, è bene ricordare che dopo il Concilio Vaticano II la presenza attiva di questo ministero nella vita della Chiesa suscita, in memoria dell'esempio di Cristo, una coscienza più viva del valore del servizio per la vita cristiana».
La Civiltà Cattolica

giovedì 1 gennaio 2009

CALENDARIO 2009

Carissimi confratelli,Vi comunico il calendario degli incontri 2008/2009 percisandovi che le due date evidenziate in grassetto hanno questa motivazione: -01 marzo 2009, è la prima domenica del mese, perchè nella seconda P. Giulio ha impegni a Milano -26 aprile 2009, in relazione alle festività pasquali è impossibile rispettare la cadenza degli altri mesi. Il 18 gennaio don Antonello ci farà sapere in relazione a questa data.
Vi allego anche l'elenco di tutto il gruppo.
Cogliamo l'occasione per augurarvi un 2009 colmo di serenità e di banedizione del Signore. Paolo e Silvana
ringraziamo Paolo e Silvana per l'impegno di Segreteria
ai confratelli diaconi e aspiranti al diaconato.
feliceannonuovo

AUGURI DA TUTTA LA REDAZIONE DI:

DIACONIPERUGIA PER UN FELICE ANNO 2009 .

Mario

Il Diaconato in Italia-Il Diacono Nell' Evangelizzazione

Nelle parrocchie il ministero diaconale esprime la sua identità?
Gaetano Marino


La Chiesa è maestra ed i vescovi continuamente attraverso documenti danno importanti input per proseguire un cammino di fede. Nella presentazione del documento della CEI, “Educare alla vita buona del vangelo”, troviamo: “La Chiesa continua nel tempo la sua opera: la sua storia bimillenaria è un intreccio fecondo di evangelizzazione e di educazione”, un proiettarsi attraverso una significativa valenza educativa. Al n. 34 è riportato che la formazione dei seminaristi, dei diaconi e dei presbiteri al ruolo di educatori assume particolare importanza per ogni battezzato.
Prima di inoltrarci ulteriormente su quanto riporta il citato documento CEI è opportuno leggere ciò che il Concilio Vaticano II al n. 29 ha detto dei diaconi. “I diaconi, ai quali sono imposte le mani «non per il sacerdozio, ma per il servizio» …, sostenuti dalla grazia sacramentale, nella «diaconia» della liturgia, della predicazione e della carità servono il popolo di Dio, in comunione con il vescovo e con il suo presbiterio. È ufficio del diacono, secondo le disposizioni della competente autorità, amministrare solennemente il battesimo, conservare e distribuire l'eucaristia, assistere e benedire il matrimonio in nome della Chiesa, portare il viatico ai moribondi, leggere la sacra Scrittura ai fedeli, istruire ed esortare il popolo, presiedere al culto e alla preghiera dei fedeli, amministrare i sacramentali, presiedere al rito funebre e alla sepoltura”.
Possiamo dire che nella diaconia liturgica il diacono ha un ruolo indispensabile, pertanto, l'esercizio di questi uffici si può dividere in: sacramenti, sacramentali e preghiera. Nell’amministrare solennemente il battesimo, egli battezza il fedele mediante un lavacro di rigenerazione e di rinnovamento nello Spirito Santo, nella morte e risurrezione di Cristo, per farlo nuova creatura. E’ mandato per il ministero della parola nell'evangelizzazione e catechesi, suscitando interesse, conversione e fede. Nella celebrazione eucaristica proclama il vangelo e pone al sacerdote celebrante ciò che è necessario al sacrificio eucaristico. Inoltre, poiché l'Eucaristia deve inserirsi nell'esistenza storica delle persone fino a suscitare un passaggio da un’assemblea passiva ad una attiva, la mediazione del diacono diventa preziosa nella preghiera dei fedeli assumendo i bisogni e le speranze della comunità; nello scambio della pace segno di riconciliazione fraterna; nella distribuzione della santa comunione esprimendo la partecipazione dell'assemblea alla celebrazione eucaristica, il congedo come missione del credente che dall'Eucaristia riceve la spinta verso il mondo portando e trasmettendo i segni benefici della grazia ricevuta. Egli, quando riceve la facoltà da parte del parroco e dell'Ordinario del luogo, presiede la benedizione
nuziale in nome della Chiesa. E’ ministro dei sacramentali, cioè di quei “segni sacri
per mezzo dei quali, con una certa imitazione dei sacramenti, sono significati e, per
impetrazione della Chiesa, vengano ottenuti effetti soprattutto spirituali” (Codex Iuris
Canonici, 1983, n. 1116), può impartire le benedizioni che gli sono espressamente
consentite dal diritto; è ministro ordinario dell'esposizione del santissimo Sacramento
e della benedizione eucaristica, spetta a lui inoltre, presiedere le esequie celebrate
senza la S. Messa e il rito di sepoltura, e poiché il diacono esercita il suo ministero sia
all’interno che all’esterno della parrocchia, nel Rituale Romanum può trovare
preghiere di benedizioni adatte alle diverse circostanze: benedizione ai bambini, a
persone anziane, ammalati, alle famiglie ecc. E’ chiamato ad essere l'uomo della
preghiera con, per e tra la gente, per questo celebra la liturgia delle ore con cui tutto il
Corpo Mistico si unisce alla preghiera che Cristo Capo eleva al Padre, egli si nutre
spiritualmente dei salmi, delle letture e delle omelie dei Padri.
Nella diaconia della parola legge la sacra Scrittura ai fedeli, istruisce ed educa il
popolo. Questo ufficio è il principale ministero del diacono, non in assoluto, è la
missione essenziale della Chiesa, che favorisce la partecipazione non solo di chi fa
parte di essa, ma anche di chi è lontano. Egli si colloca vicino al presbitero, come
garante della fedeltà dell'annuncio, e vicino ai laici come modello, testimone, guida
all'incarnazione della Parola e attraverso questa funzione diventa punto di
riferimento tra le diverse realtà socio-culturali in cui l'omelia fa emergere bisogni,
attese, difficoltà della gente.
Nella diaconia della carità è importante sottolineare due aspetti di questo
servizio, che, non è mai presentato come esclusivo, proprio, indipendente, ma è
sempre compiuto in nome, in vece e sotto la direzione del vescovo e del presbiterio,
ed è sempre legato alla celebrazione dell'Eucaristia. Sulla scia di questo prezioso
agire della Chiesa, si è creato un rapporto tra la consacrazione dell' Eucaristia e la
risposta al bisogno dei fedeli, dove il diacono si trova in una posizione intermedia.
Quindi il ministero della carità nasce e si sviluppa nella consacrazione eucaristica, per
il diacono, si manifesta e si consuma nel soccorso ai bisognosi e nella continua
formazione dell'unità cristiana. Questo inscindibile legame tra l'altare e il servizio ai
bisognosi fa del diacono un “sacramento” vivente, segno di Cristo che passa
operando il bene.
Ritornando al documento CEI – Educare alla buona vita del vangelo – si
definisce: “La catechesi, primo atto educativo della Chiesa nell’ambito della sua
missione evangelizzatrice”; “La liturgia scuola permanente di formazione attorno al
Signore risorto”; “La carità educa il cuore dei fedeli e svela agli occhi di tutti il volto
di una comunità che testimonia la comunione, si apre al servizio, si mette alla scuola
dei poveri e degli ultimi, impara a riconoscere la presenza di Dio nell’affamato e nell’assetato, nello straniero e nel carcerato, nell’ammalato e in ogni bisognoso”. Quindi, Il documento dei vescovi associa le tre caratteristiche – la catechesi – la liturgia – la carità, che sono anche le tre caratteristiche della vita parrocchiale. Questo significa che il diacono deve essere inserito nella Comunità parrocchiale, se c’è questa sensibilità l’identità propria del diacono è nell’evangelizzazione, che deve essere vissuta tenendo conto della presenza delle emergenze educative che i vescovi hanno messo in evidenza nel territorio, incontrando l’uomo nella sua specifica e reale condizione di vita.